LA STRAORDINARIA VITA E L' ANCOR PIÙ STRAORDINARIA FILMOGRAFIA DI ALAN SMITHEE
Di FABIO VOLINO
Non mi avrete. Non mi avrete. Mi avete sentito, fottuti bastardi? Non mi
avrete, no. Non quando sto per realizzare il mio capolavoro, quello per cui
verrò per sempre ricordato, quello dopo il quale il mio nome verrà messo
accanto a maestri come Georges Melies, John Ford, Francis Ford Coppola, George
Romero… Non mi avrete. Devo schiarire la mia mente, non farmi prendere dall'
ossessione. La televisione, sì, parleranno sicuramente di me o al limite
trasmetteranno un mio film, ne ho realizzati così tanti. Ecco…
"Ha creato scalpore nel mondo della politica l' improvvisa
riapparizione del senatore Eugene Stivak, ritenuto morto alcuni anni fa. In
realtà, a detta del senatore, l' influente uomo politico ha dovuto nascondersi
per via di minacce provenienti da un gruppo terroristico arabo: ha lavorato
nell' ombra e ha fatto sì che tutti i loro componenti venissero catturati. Ora,
mentre la sua popolarità è in forte crescita, Stivak afferma di volersi
candidare alle prossime elezioni presidenziali…".
Ma cos'è questo, quale importanza può avere? Nessuno parla della mia opera?
Perché devo sempre essere un signor Nessuno? Lo sono stato sin da quando sono
nato, è una sensazione frustrante. Ma non sarà sempre così: il 1969 verrà
presto ricordato, oltre che come l' anno in cui l' uomo ha messo piede per la
prima volta sulla Luna, anche come l' anno della mia nascita. I miei genitori
non hanno mai dimostrato un eccessivo amore nei miei confronti, forse ero stato
solo un loro errore di percorso. Avevano le loro carriere da portare avanti,
carriere che non contemplavano la mia presenza. Ed anche la bambinaia… la
massima fatica che faceva era quella di sfogliare le riviste di mia madre. Ma
da tutto questo ne è derivato anche qualcosa di buono: non avendo nessuno che
accudiva a me, la televisione divenne la mia vera babysitter.
Gli anni '70 sono stati anni particolari, diversi da tutti gli altri. Anche e
soprattutto in televisione, che ha vissuto un boom che non potrà mai più
ripetersi. Ed i programmi trasmessi erano stupendi, meravigliosi, non come
quelli di oggi… reality show idioti, cartoni giapponesi violenti e mal
realizzati per la maggior parte, telefilm fintoadolescenziali che non
trasmettono alcun messaggio… Ed in quelle lunghe ore in cui la mia mente
entrava in un altro, incredibile mondo, i film divennero i miei veri amici. I
miei compagni d' infanzia. Cominciai dai western, decine centinaia di western:
per settimane i lungometraggi realizzati negli anni '50, i migliori di tutti i
tempi, entrarono nella mia vita. A quell' età gli eroi preferiti dai bambini
erano Superman, Capitan America, Astro Boy… i miei invece erano Burt Lancaster,
Gary Cooper, John Wayne, James Stewart… Finché un giorno mi imbattei nei film
western di un regista italiano, Sergio Leone: ebbene, pur essendo ancora molto
piccolo e non intuendo molte cose dell' arte del cinema, capii subito che quei
film erano diversi da tutti gli altri. Avevano un marchio di fabbrica che
sarebbe diventato da quel momento in poi imprescindibile: soprattutto quell'
uso sproporzionato dei primi piani e quelle fenomenali musiche di atmosfera.
Ancora oggi piango se ripenso al finale di Giù la testa. Fu allora che decisi
che sarei entrato anch'io nel mondo del cinema.
Fu poi la volta dei film classici e dei musical: tutte quelle commedie
realizzate tra gli anni '30 e '40 che hanno fatto la storia di Hollywood. Ne vedevo
tre, quattro al giorno. Quando passai ai film drammatici, inizialmente li
odiai, non mi davano la voglia di sognare come avevano fatto gli altri. Per
svariato tempo disprezzai profondamente Viale del Tramonto. Diventato
maggiorenne, quando i miei genitori avevano finalmente mandato a quel paese la
bambinaia, divenni dipendente dai film horror. Passai dai classici in bianco e
nero agli ultimi prodotti dei miei tempi, che già cominciavano ad abbondare di
disgustosi effetti splatter, che sono quelli che hanno rovinato un meraviglioso
genere. Rimasi soprattutto affascinato dalle opere di due registi: George
Romero e l' italiano Dario Argento. Perché i loro non erano semplici film
horror, erano sguardi all' interno delle nostre anime nere, visioni di un' angoscia
che pervadeva l' umanità di quegli anni… e non solo. Anche se avevo passato da
tempo i diciotto anni, la prima volta che vidi Profondo Rosso non riuscii a
dormire quella notte.
Mi diplomai ed iniziai a frequentare i corsi per diventare regista, dopo aver
scartato quelli di attore. I miei genitori non mi dissero niente… anche perché
erano morti e mi avevano lasciato la loro sostanziosa eredità che utilizzai per
finanziare i miei studi. Ero sicuro che sarei diventato qualcuno, il cui nome
sarebbe stato ricordato per sempre: dopotutto avevo imparato dai migliori, non
potevo sbagliare no?
Furono duri anni di studio, ma alla fine venni premiato e, fresco di attestato,
iniziai ad ottenere i miei primi incarichi come regista di svariati serial
televisivi: Ai Confini della Realtà, MacGyver… tutto faceva
brodo, l' importante era farsi notare. Anche se nelle poche riviste
specializzate non compariva il mio nome, io non me ne preoccupavo: era solo
questione di tempo.
Ed alla fine arrivò: l' incarico per il mio primo film. Ricevuto da un
produttore che era rimasto ben impressionato vedendo alcuni telefilm da me
diretti e che era convinto possedessi uno stile cinematografico, poco adatto
alla televisione (ed aveva ragione, ha ragione, peccato nessuno sia mai stato d'
accordo con lui). Quando lo ricevetti festeggiai per mezz'ora balzando qua e là
per casa, mentre fingevo un atteggiamento distaccato alle riunioni di
produzione. Il titolo era Let's Get Harry ed il budget versato era, devo
ammetterlo, decisamente consistente. Tanto che mi permisi di scegliere i due
attori principali: Gary Busey, uno dei mitici protagonisti di Un Mercoledì
da Leoni (anche se non mi ricordo mai come si chiamava il suo personaggio,
forse Leroy); e Robert Duvall, un mito, l' avvocato di Marlon Brando nel Padrino
ma soprattutto il generale che spaventava i vietnamiti con Richard Wagner in Apocalypse
Now. "Ti piace il napalm? Io lo adoro. Adoro l' odore del napalm al
mattino". Che frase fenomenale. Il mio film era una commedia, secondo me
nient'affatto banale. Per essa cercai di ricatturare le atmosfere ammirate in
quei film degli anni '30 e '40 che avevo visto: Frank Capra, Lubitsch… non
potevo sbagliare con esempi del genere.
Sbagliai, invece: e la colpa fu del mio acerrimo nemico. John Doe. No, non l'
attore che interpreta il ruolo del padre di Liz Parker in Roswell, ma il
critico più bastardo che sia mai esistito su questa Terra. Demolì il mio film
con commenti assurdi quali:"Una commedia senza alcuna pretesa dove l'
idiozia regna sovrana" ; "Ci si chiede se il regista non ci ritenga
dei cerebrolesi se pensa che film del genere possano attirare la nostra
attenzione" ; "Non andate a vederlo, risparmierete i vostri
soldi". Ed il pubblico, il pubblico ignorante, seguì il suo ignobile
consiglio. Fu un fiasco totale. Rimasi quasi un anno senza lavoro, annegando i
miei dispiaceri nell' alcool, finchè non tornai a lavorare saltuariamente per
la televisione.
Faticosamente mi rifeci un nome ed ottenni nuovamente una grande occasione: il
film si chiamava Ore Contate ed aveva un cast stellare: Dennis Hopper,
l' indimenticabile protagonista di Easy Rider; Jodie Foster, chi non
ricordava quella deliziosa bambina di Taxi Driver? (ok, in alcuni film
successivi aveva mantenuto più l' atteggiamento da puttana che da attrice, ma
allora ero certo che presto avrebbe ancora sfondato e la storia mi ha dato
ragione); Joe Pesci, uno degli attori preferiti da Martin Scorsese; Terence
Stamp, il cattivo per eccellenza. Un film d' azione con una solida trama, per
il quale mi rifeci all' esperienza hitchcockiana. Non potevo fallire, non
potevo.
Fallii. E la colpa fu ancora sua, John Doe. Non capisco da dove le tirasse
fuori simili idiozie. "La storia si regge su un esile filo, che si spezza
dopo i titoli di inizio per colpa del solito regista senza arte né parte".
"Un' ora e mezzo di pellicola sprecata, poteva servire per un documentario
più interessante sull' opossum". Gli incassi, il modo migliore di chiudere
la bocca a certi stronzi, non mi diedero purtroppo ragione.
Per me fu quasi come la fine: tornai a lavorare per la televisione, occupandomi
di telefilm e TV movie di quart'ordine di cui già nessuno si ricorda più.
Sembrava la fine dei miei sogni, l' impronta della mia mano non sarebbe mai
comparsa sull' Hollywood Boulevard, non sarei stato altro che un nome anonimo
che veniva offuscato da una lunga fila di registi sia illustri che indegni.
Finché un giorno… un produttore aveva disperatamente bisogno di un regista per
un film che nessuno voleva dirigere. Si rivolse a molte persone e, dopo
svariati rifiuti, incappò un po' per caso in me. Che non ebbi difficoltà ad
accettare. Capii subito perché gli altri miei colleghi avevano rinunciato: il
film era il sequel di un capolavoro. Gli Uccelli di Alfred Hitchcock. Il
regista inglese è sempre stato tra i miei preferiti, non c'è stato nessun suo
film che mi abbia deluso (ok, Complotto di Famiglia non era un granché).
Girare un sequel di un suo film… era per me un sogno che diventava realtà. E
che doveva riuscire al meglio. Tanto dissi e tanto feci infatti che riuscii a
trascinare nel progetto Tippi Hedren, la protagonista del film originale. Sì,
la mamma di Melanie Griffith, esatto. Non dovetti faticare troppo, dopo quel
film e Marnie di lei si erano perse le tracce. Le vecchiacce di Hollywood
non aspettano altro che avere un' occasione per tornare sulla breccia.
Andò tutto male dal principio: il budget stanziato era irrisorio e diede vita
ad effetti speciali terribili e mal fatti. Gli attori recitarono tutti da cani,
soprattutto quella puttana di Tippi Hedren. Fui quasi tentato di togliere il
mio nome dal film, ma in questo caso chi avrebbero messo, il leggendario John
Smith? Quando puntuale arrivò la critica di John Doe, non ne rimasi affatto
sorpreso: disse le stesse cose che pensavo io. Era il 1994 ed ancora la mia
vita non aveva imboccato un sentiero preciso.
Ma qualcuno credeva che io ora fossi portato per i film horror: solo che Gli
Uccelli II non era un film horror, ma un orrore di film. Ciononostante, due
anni dopo accettai l' offerta di realizzare un altro sequel. Conoscete tutti il
ciclo di Hellraiser? Quello di Clive Barker? Ebbene, il quarto capitolo
l' ho diretto io. Stessi problemi del film precedente, budget ridotto: alcune
scene si dovevano girare su una stazione spaziale, sembrava piuttosto un
dopolavoro ferroviario. Eppure il film secondo me funzionava, soprattutto la
scena finale in cui Pinhead muore dicendo "Amen" e la stazione si
chiude attorno a lui assumendo la forma di una croce. Ma John Doe la pensava diversamente.
"Un polpettone abominevole mascherato da film con ambizioni
fintofilosofiche e misticheggianti" era il commento che simbolizzava tutto
quanto.
Fu allora che finalmente la mia vita sembrò prendere una piega felice e non per
via del cinema. Conobbi una donna, mi innamorai di lei a prima vista: e
indovinate un po', era la sorella di John Doe! Si chiamava Jane ed era…
stupenda. Ma suo fratello, che aveva passato tutta la sua vita a rovinare la
mia vita da regista, non ci pensò due volte a distruggere anche quella
sentimentale. Finalmente gli parlai faccia a faccia, anche se ben presto le
parole vennero sostituite dai pugni: se fossi uno dei tanti supereroi di cui
questo mondo è pieno, lui sarebbe la mia arcinemesi. Jane rimane sconvolta e
decise di non voler avere più nulla a che fare con me.
L' amore era morto, mi rimaneva solo il cinema. Ma dopo tanti fallimenti,
nessun produttore voleva più affidarmi i suoi progetti. Lavorai ancora un po'
per la televisione, poi più niente. O meglio, mi dovetti adattare a fare cose
ignobili pur di mangiare ed andare avanti, dovetti scendere così in basso da
non potermi più risollevare. Iniziai a fare film porno, per un solo ottimo
motivo: la paga. Era molto buona. Ne girai 56 in due anni e mezzo, a volte con
le riprese che duravano appena cinque giorni. Ma la mia tristezza era infinita.
Per questo io credo di aver perso ogni speranza nel 2001. Nell' anno in cui
Frank Poole si perdeva nell' immensità dello spazio, la mia carriera terminava.
Sono tre anni che non mi metto dietro ad una macchina di presa come voglio io,
per me è come essere in coma.
Per tutto questo tempo ho subito passivamente gli eventi, senza reagire. Ora
basta.
Per tutti questi anni la mia vita è stata rovinata da una sola persona: John
Doe. Intendo ucciderlo, ma non mi limiterò a lui. I critici cinematografici
sono coloro che rovinano la magia della settima arte e dunque devono sparire
tutti: John Doe sarà il primo di molti. Ed alla fine questo sarà un mondo
migliore. Ho fatto molti allenamenti in vista di questo giorno, sono preparato.
Così potrò conquistare l' amore di Jane e partire con lei verso l' orizzonte,
mentre il sole sta tramontando davanti a noi. Non potrebbe esserci miglior
lieto fine.
Ma… Ma cosa…? Qualcuno ha sfondato una parete: dovevo immaginarlo, chi combatte
per una causa giusta ha sempre degli avversari da affrontare, nei film succede
sempre. E nei film i buoni vincono, dunque io vincerò. Lo vedo ora, è una sorta
di cyborg, sembra Terminator… oppure il robot di Metropolis. Vola verso
di me, ma io lo evito agilmente. Afferro allora la mia pistola e gli sparo
contro numerosi proiettili, però la sua armatura li respinge tutti. E… nella
mia mente la sua immagina cambia ancora, ora è il Christopher Reeve di
Superman, no ora è Michael Keaton… sta tentando di confondermi! Ma io non ci
cascherò.
Divento John Rambo, estraggo il mio lungo coltello e mi scaglio contro di lui.
Evita un fendente, poi rimaniamo bloccati in una presa apparentemente
inestricabile. Riesco a liberarmi, inciampo e… Agh! A… Argh… No, non… Come si
può essere così imbecilli? Cadere sul proprio… coltello, che morte indegna.
Nemmeno fossi… Leonardo DiCaprio. Jane…
"Tutto bene, Mach-2?" irrompe un agente SHIELD.
"Sì, Jack. Si è ammazzato da solo, praticamente. Guarda qui, che orrore,
ma in che baracca stava?".
"Bleah, si sente il tanfo fin da fuori. Ma come faceva a vivere qua
dentro?".
"Io mi chiedo cosa gli sia preso quando è impazzito ed ha ammazzato un
poveraccio del Queens. Per quanto ne sappiamo, non aveva alcun legame con
lui".
"Un po' difficile trovare una motivazione alla follia".
"Sì, forse hai ragione. Aspetta, ecco, ho trovato un suo documento di
identità: la tessera della previdenza sociale. Guarda qui".
L' agente SHIELD la osserva:"Però, che nome anonimo che aveva".
"Già, proprio un anonimo. Una persona che non esisteva" commenta
Mach-2 "Un invisibile".
CONTINUA...
PROSSIMAMENTE
Rachel
Note dell' Autore: Alan Smithee non è un nome di fantasia da me ideato: è lo pseudonimo adottato dalla Associazione dei Registi Americani quando un regista o un altro componente della produzione di un film (sceneggiatore, ecc...) decide di togliere la sua firma dalla pellicola per i più svariati motivi.